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Olio di Palma Ambiente e Deforestazione Incontrollata

Autore

Cristian Perinelli

Consulente marketing per Micro-imprese e Startup

Esperto in analisi dei dati, Campagne pubblicitarie Meta e Google, Posizionamento nei Motori di Ricerca e Sviluppo Siti Web

Olio di palma in bottiglia, con accanto i frutti rossi

Indice

Cos’è l’olio di palma?

L’olio di palma è un olio vegetale commestibile derivato dal mesocarpo del frutto delle palme da olio, principalmente dalla palma da olio africana Elaeis guineensis, e in misura minore dalla palma da olio americana Elaeis oleifera e dalla palma maripa Attalea maripa.

L’olio di palma ha un colore naturalmente rossastro a causa dell’elevato contenuto di beta-carotene e non va confuso con l’olio di palmisto derivato dal nocciolo dello stesso frutto, o con l’olio di cocco derivato dal nocciolo del cocco.

Le differenze sono nel colore, poiché l’olio di semi di palma manca di carotenoidi e non è rosso e nel contenuto di grassi saturi: l’olio di mesocarpo di palma è saturo del 49%, mentre l’olio di semi di palma e l’olio di cocco sono rispettivamente saturi al 81% e 86%.

Pianta di palma da olio

La palma da olio produce grappoli contenenti un gran numero di frutti con il mesocarpo carnoso che racchiude un nocciolo coperto da un guscio molto duro.

Insieme all’olio di cocco, l’olio di palma è uno dei pochi grassi vegetali altamente saturi ed è semisolido a temperatura ambiente.

A cosa serve l’olio di palma?

L’olio di palma è un ingrediente di cottura comune nella cintura tropicale dell’Africa, del sud-est asiatico e in alcune parti del Brasile.

Negli ultimi anni si evidenzia un altro settore per il quale si produce olio di palma, quello della produzione di biocarburanti, un altro mondo torbido e pieno di contraddizioni.

Il suo utilizzo nell’industria alimentare in altre parti del mondo è molto diffuso a causa del basso costo e dell’elevata stabilità ossidativa quando usato per friggere. Viene usato principalmente per creare dolci e biscotti, saponi, cosmetici e creme.

Il largo uso dell’olio di palma nei prodotti alimentari ha attirato la preoccupazione dei gruppi ambientalisti; l’elevata resa delle palme da olio ha incoraggiato una più ampia coltivazione, portando una massiccia deforestazione di foreste pluviali in diverse parti del mondo, solo per fare spazio alla monocoltura di palme da olio.

Ciò ha comportato significative perdite, anche nel mondo animale.

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Deforestazione e perdità di biodiversità

Occupandoci di tematiche ambientali sembra quasi di essere dei reporter di guerra.

I cambiamenti climatici minacciano milioni di specie inclusa quella umana, anche se non tutta la società lo ha ben capito.

Il nostro modello di sviluppo non è sostenibile perché abbiamo perso il contatto con la natura che ci ha sostenuto e aiutato per millenni. Vediamo tutto come “merce da sfruttare per profitto”, non come un sostentamento alla vita.

Non c’è attività economica che riesce a sfuggire da questo controsenso innato: da una parte il nostro bisogno di soddisfare le necessità primarie, e dall’altra i danni ambientali.

Tra i tanti temi caldi c’è quello della produzione dell’olio di palma che, ahimé, da un lato rappresenta un prodotto eccezionale per le industrie e dall’altra contribuisce alla deforestazione.

Piantagione di palme da olio in Malesia

L’olio di palma è infatti diventato un simbolo della “deforestazione incontrollata”.

Se in passato la palma, albero antichissimo di cui alcuni esemplari sono stati rinvenuti allo stato fossile insieme ad impronte di dinosauri, veniva associata nell’immaginario collettivo alle spiagge caraibiche e al cocco, oggi l’Occidente ne conosce una versione meno pacifica, quella legata alla produzione massiva di olio di palma.

Il problema delle palme da olio è la loro ingente richiesta di acqua e nutrienti dal terreno: crescendo in posti caldi e umidi, toglie inevitabilmente posto alle foreste pluviali, uno degli ecosistemi chiave della biodiversità globale.

La perdita di milioni di ettari di foresta pluviale è un dramma ecologico dalle conseguenze ancora sconosciute, non stiamo perdendo solo animali simbolo come l’orango, ma anche un fondamentale bacino di cattura della Co2, uno degli elementi responsabili del cambiamento climatico:

Esistono comunque diverse certificazioni che possono garantire una produzione di olio di palma sostenibile, come ad esempio la Forest Stewardship Council (FSC).

La produzione di olio di palma uccide gli oranghi, ma anche elefanti e decine di altre specie animali.

Il legame tra piantagioni di olio di palma e deforestazione ha raggiunto l’opinione pubblica di tutti i paesi occidentali, Italia compresa, grazie a campagne di sensibilizzazione lanciate dalle Onlus, come ad esempio questa di GreenPeace.

Non c’è marchio di biscotti o merendine, di crackers o di taralli, che nello spot pubblicitario in TV, non specifichi l’assenza di olio di palma nei propri ingredienti, come per sottolineare la qualità e la sicurezza del proprio prodotto.

I primi segnali di sensibilizzazione iniziarono intorno al 2015 in occasione dell’Expo di Milano: se ricordiamo bene, fu proprio in quel periodo che molti prodotti, tra cui la famosa crema al cioccolato spalmabile, divennero da evitare perché contenenti olio di palma.

Proprio nel 2015 avvenne un altro fatto importante: venne firmato il Progetto dell’Utilizzo dell’Olio di Palma, stipulato dall’UE attraverso la Dichiarazione di Amsterdam del 7 dicembre, con il quale diversi paesi europei, si sono impegnati a promuovere iniziative volte ad assicurare l’impiego di Olio di Palma 100% Sostenibile, entro il 2020.

La produzione globale di olio di palma è aumentata da 15 milioni di tonnellate del 1995 a 58 milioni di tonnellate del 2015. Nel 2018 la produzione è stata di 74 milioni di tonnellate, mentre nel 2021 di 75 milioni.

Ma se alle persone, arrivò solamente pochi anni fa l’informazione che nella produzione di questo prodotto qualcosa non andava, è incredibile come attorno a un solo tipo di albero ruotino argomenti tanto importanti come diritti umani, ambiente e alimentazione.

foresta brucia con mamma scimmia e suo figlio

La palma da olio oggi è il simbolo della discordia, la dimostrazione che c’è in corso qualcosa di enorme, che coinvolge con un colpo solo, la vita e la salute degli esseri umani, degli animali e della Natura.

Adesso vi spieghiamo come si produce e perché la sua produzione è un problema più serio di quanto si possa immaginare.

Come si fa l’olio di palma?

Premesso che l’olio di palma è un olio vegetale e si ricava dalle palme da olio, è composto da trigliceridi e da alte concentrazioni di acidi grassi saturi.

Si ottiene dai frutti della pianta attraverso un processo di sterilizzazione con il vapore, seguito da snocciolatura, cottura e pressatura. Alla fine di questo procedimento, si filtra il tutto e si ottiene l’olio.

Frutto rosso della palma da olio

L’olio di palma entrò nelle ricette dei piatti africani già molto tempo fa, come semplice olio alimentare. ma quando catturò l’attenzione dei grandi uomini di affari nella metà del XX secolo, la sua produzione cominciò a diffondersi su scala mondiale.

Il motivo? I bassissimi costi di produzione.

Oltre che nei prodotti alimentari, l’olio di palma viene utilizzato anche nell’industria cosmetica e in prodotti destinati alla cura della persona.

Poi c’è il palmisto che si ricava dai semi separati durante la produzione dell’olio: questi vengono essiccati, macinati e pressati per ricavarne un blocco solido, l’olio di palmisto che fonde a una temperatura di 26°/28 °C.

Da esso si ricavano dei grassi particolari utilizzati nell’industria dolciaria. E’ certamente una pianta ricca di virtù e dalle mille risorse, ma quindi perché tanto rumore?

C’è un’altra faccia della medaglia, oscura, tipica di tutte le cose che finiscono tra le grinfie della produzione intensiva e del consumo di massa.

Lo abbiamo visto per le piantaggioni di alberi di faggio usate per produrre la fibra di Modal, ma anche per gli allevamenti intensivi a scopo alimentare. E’ quindi un lato oscuro ricorrente che non riguarda solo l’olio di palma.

L’olio di palma fa male alla salute?

L’olio di palma non si limita a far sollevare domande in ambito ambientale e sociale, ma anche nell’ambito nutrizionale, questo prodotto infatti è il tema centrale di varie discussioni.

Tutto fa male alla salute quando si esagera nelle dosi, questo è un dato di fatto.

Gli scettici, quelli che si rifiutano di vedere nell’olio di palma un nemico dell’alimentazione, sostengono che i danni legati alla salute umana dipendono, come per tutti gli alimenti contenenti grassi saturi (ad es. burro e strutto), da frequenza e quantità assimilate.

Come limitare le dosi di una sostanza che ormai si trova ovunque?

A colazione la troviamo nei biscotti e nelle brioches confezionate. A pranzo e cena nei prodotti da forno, come cracker, grissini e panini. E volete che non ci sia nel pomeriggio con lo spuntino dolce o nella merendina? Quasi impossibile! È presente persino nei gelati confezionati.

Insomma, come si fa a non esagerare nelle dosi di un ingrediente prodotto in quantità abnorme, inserito in tutti gli alimenti che consumiamo quotidianamente? Si stima che una persona ingerisca circa 7kg di olio di palma l’anno.

Una bottiglia e alcune provette che contengono olio di palma rosso + dei frutti della palma da cui viene estratto

L’olio di palma è la gallina dalle uova d’oro di tantissime aziende: queste non si preoccupano di non essere le uniche, tutt’altro, si agganciano al treno dei guadagni facili e del risparmio per produrre un sacco di soldi, infischiandosene altamente delle conseguenze.

Superata la questione della quantità che tutto sommato non convince, entriamo in laboratorio: è scientificamente provato che l’olio di palma contiene sostanze genotossiche e cancerogene per l’uomo legate agli acidi grassi presenti in altissima quantità: 4.000 volte più glicidolo dell’olio d’oliva.

Oltre al glicidolo, la proteina p66Shc presente nell’olio di palma è un potente induttore di stress ossidativo che a livello cellulare può causare grossi danni all’organismo.

Questo già basterebbe per dare l’allarme, tenendo conto che i rischi legati al consumo dell’olio di palma sono elevatissimi soprattutto per i bambini. In particolare, il rischio di causare diabete di tipo 2, stress ossidativo a livello cellulare e obesità.

Tuttavia, c’è chi ancora nonostante la presenza della proteina p66Shc, sostiene che da solo l’olio di palma non è nocivo, ma il suo problema di nocività è correlato alla possibile tossicità di alcuni contaminanti che si possono formare in qualsiasi sostanza grassa a seguito dei trattamenti industriali a cui vengono sottoposte.

Nello specifico 3-MCPD, 2-MCPD e GE, i tre contaminanti studiati, si possono formare durante le fasi di lavorazione ad alte temperature nella raffinazione di olii e grassi.

La deodorizzazione in particolare, tipico processo industriale che ha l’obiettivo di eliminare, o per lo meno ridurre ai minimi termini, l’odore cattivo o non gradito di un determinato prodotto oleaginoso, porterebbe alla comparsa di queste sostanze.

Fermo restando che l’olio di palma non è originariamente nocivo, rimane il fatto che quello che noi ingeriamo arriva di un processo industriale ed è quindi altissima la probabilità di ingerire 3-MCPD, 2-MCPD e GE.

Un’altra questione per la quale sono stati accesi i riflettori sulla pericolosità dell’olio di palma per la nostra salute, è il fattore cancerogeno. Anche qui le voci sono discordanti: c’è chi sostiene questa tesi e chi no.

Il punto è che prima viene messo nel mercato un prodotto e solo successivamente se ne accerta o meno la sua carcinogenicità.

Impatto ambientale dell’olio di palma

La coltivazione intensiva di palme da olio è estremamente dannosa per i territori a causa delle deforestazioni e delle emissioni di gas serra.

I paesi dove viene prodotto l’olio di palma sono quelli del sud est asiatico e tra questi, quelli che vanno per la maggiore sono Indonesia (53%) e Malesia (32%). In Malesia ha sede proprio il Palm Oil Research Institute of Malaysia (Porim), uno dei più grandi centri di ricerca sugli oli e grassi di palma al mondo.

Per produrre olio di palma è necessario coltivare le palme da olio che a loro volta necessitano di spazio e terreni liberi: per questo motivo vengono, come già detto più volte, abbattute intere foreste tropicali.

Vista l’enorme richiesta del prodotto sul mercato mondiale, la Cambogia, la Malesia, l’Indonesia e altri Paesi della zona, stanno facendo scomparire un patrimonio forestale prezioso per l’intera umanità.

Esempio di deforestazione di una foresta pluviale

Con l’annientamento di ettari ed ettari di foreste, si attiva una reazione a catena pericolosissima per l’ambiente.

Cancellando la biodiversità di queste aree con la deforestazione, si vanno ad attaccare processi ecosistemici cruciali per la sopravvivenza delle popolazioni locali e per gli equilibri del nostro pianeta, comportando il rischio di estinzione per diverse specie di animali, soprattutto elefanti, uccelli e oranghi.

Femmina di orango con il figlio su di un albero

Tutto questo porta inevitabilmente a un peggioramento dei cambiamenti climatici proprio perché i terreni spogliati dai loro alberi, sprigionano enormi quantità di gas serra con tutte le conseguenze che già conosciamo.

Inoltre, nonostante siano le foreste pluviali quelle maggiormente colpite -le quali rappresentano il 7% della vegetazione globale- ad accusarne il colpo c’è anche il mondo sottomarino: le acque sotterranee stanno scomparendo e i fiumi si stanno prosciugando.

La convenienza economica dell’olio di palma dovrebbe passare in secondo piano, rispetto al prezzo veramente salato che dovrà pagare l’intero pianeta.

Impatto sociale dell’olio di palma

Se tutto ciò non bastasse, esistono degli studi che provano la violazione dei diritti umani nella produzione di olio di palma, proprio nelle industrie dei marchi più noti.

I documenti raccontano di condizioni di lavoro inaccettabili, sfruttamento minorile, discriminazione femminile, proprio sui campi di coltivazione dell’olio di palma, dove lavora la gente del posto, spesso a sua volta sfrattata dalle loro case per fare spazio alle piantagioni.

Persone che hanno abbandonato le loro culture abituali per dedicarsi alle palme da olio, ma per loro, alternative migliori e più sostenibili ce ne sarebbero, solo che vengono ignorate perché non riguardano le palme da olio.

Purtroppo, lo sfruttamento sociale è un problema in tutti gli ambiti di agricoltura intensiva.

Quali sono le alternative all’olio di palma?

Per fare un dolce, una focaccia o dei biscotti, normalmente usiamo il burro o l’olio di oliva. Le industrie alimentari hanno eliminato dalle loro ricette questi ingredienti a noi più familiari per sostituirle con quest’olio vegetale più economico.

Non solo il prezzo, ma anche la sua versatilità è decisiva per questa scelta: con l’olio di palma l’alimento diventa più cremoso e leggero, si presta a diverse tipologie di lavorazioni e ha un sapore e un colore neutro che non vanno a modificare l’odore e il gusto del prodotto in cui è contenuto.

Esistono delle vere alternative all’olio di palma?

La prima risposta che può venire in mente è in realtà un’altra domanda: come si è fatto prima?

Abbiamo visto che la produzione di olio di palma si è rapidamente diffusa all’inizio degli anni 2000.

Vuol dire che nel passato l’olio di palma non era così ambito nelle ricette industriali e i quarantenni di oggi di merendine ne hanno mangiate comunque parecchie.

Il problema è che l’utilizzo di altri grassi vegetali comporta lo stravolgimento sensoriale del prodotto, nel senso che molti olii alimentari vanno a coprire con l’odore e il gusto le caratteristiche originali dell’alimento.

Un problema che prima non veniva preso tanto in considerazione.

Le alternative all’olio di palma ci sono, ad esempio la Metschnikowia pulcherrima, un lievito che produce una sostanza oleosa simile all’olio di palma, ma anche altre più comuni: l’olio di girasole, l’olio di riso, l’olio di mais, la Cremolì, burro di cacao, acqua e lecitina di girasole.

Ridurre la deforestazione causata dall’olio di palma

Noi consumatori possiamo fare tanto per diminuire il nostro impatto ambientale. Purtroppo, le grandi multinazionali che governano il mondo accettano i cambiamenti solo quando sono imposti, ma siamo davvero noi a scegliere quali prodotti acquistare, non gli spot della TV.

Grazie al rinnovato interesse intorno ai danni causati dall’olio di palma, molte aziende si sono viste costrette ad alterare le loro ricette per rimuoverlo, ma dobbiamo stare attenti a non cadere nel tranello di pensare che l’olio di palma sia il male assoluto, mentre tutti i restanti prodotti siano sani e sicuri.

E’ il modello della globalizzazione ad essere sbagliato, l’olio di palma è un olio vegetale utilissimo per le economie locali asiatiche e, al pari dell’olio di oliva, loro hanno tutto l’interesse nel continuare ad usarlo. Il vero insegnamento che dobbiamo recepire è l’importanza di mangiare prodotti locali a chilometro zero.

Così come l’olio di palma, anche l’avocado, le banane, la soia, il modal, e tanti altri prodotti esotici stanno distruggendo le foreste in maniera irresponsabile.

Un mucchio di tronchi di alberi tagliati da una foresta

Noi consumatori dobbiamo imparare ad usare solo prodotti che arrivano da vicino, così da non alimentare il mercato dello sfruttamento di risorse lontane migliaia di km da noi.

Ricordandoci di guardare le etichette e imparando a valutare e preferire prodotti con certificazioni come FSC o ECOLABEL, per l’appunto garanti di una produzione sostenibile.

Oltre ai comportamenti, possiamo aiutare i progetti di sensibilizzazione come quello creato da Keep the Planet, un’associazione ambientalista italiana che sta realizzando un film ambientato in Borneo, il film Men of the Forest è incentrato sulle vite quotidiane di un gruppo di ragazzi indonesiani impegnati nella lotta contro la deforestazione causata dall’olio di palma.

FINE

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